Rubrica: “E il naufragar m’è dolce in questo mare” | Episodio 1 – Eugenio Montale
Eugenio Montale, il poeta che con la forza della parola nuda tocca il punto più sensibile dell’anima ed eleva l’uomo ad essere umano.
Eugenio Montale è nato a Genova il 12 ottobre 1896, ed è morto a Milano il 12 settembre 1981.È stato uno dei massimi poeti italiani del Novecento, già dalla prima raccolta Ossi di seppia, nel 1925.
Nel 1967 è nominato senatore a vita e nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura.
Montale fissò i termini di una poetica del negativo in cui il “male di vivere” è il padrone assoluto, dove si percepisce imperterrita una forza di pura malinconia che abita in tutti noi e ci mostra un mondo distorto e cupo, spesso illusorio, non reale.
Montale ha scritto poco.
La poesia è per Montale principalmente strumento e testimonianza dell’indagine sulla condizione esistenziale dell’uomo moderno, in cerca di un assoluto, ma che risulta inconoscibile.
Tale concezione poetica, fondamentalmente, è la negatività esistenziale vissuta dall’uomo novecentesco, spezzato e dilaniato dal periodo, dalla guerra e dall’avvento della storia.
Montale fa un uso ampio di idee, di emozioni e di sensazioni indefinite.
Montale cerca infatti una soluzione simbolica in cui la realtà dell’esperienza diventa una testimonianza di vita.
In alcune di queste immagini, Montale crede di trovare una risposta, una soluzione al problema del “male di vivere”.
La poesia si pone, per Montale, come espressione profonda della propria ricerca di dignità e del tentativo più alto di comunicare fra gli uomini.
L’opera di Montale è sempre retta da un’intima esigenza di moralità, ma priva di qualunque morale.
Alcuni caratteri del suo linguaggio poetico sono i simboli: nella sua poesia compaiono oggetti che tornano e viaggiano da un testo all’altro, assumendo il valore di simboli della condizione umana, segnata dal malessere esistenziale, dall’attesa di un avvenimento, un miracolo, che si riscatti da questa condizione, rivelando il senso e il significato della vita.
Qui sotto, potete leggere “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, tratto da “Satura”, 1967.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Questa poesia, dedicata alla moglie, Drusilla, è una delle poesie più famose del poeta, nonchè una delle più famose e importanti della letteratura italiana.
Scritta in suo ricordo, in questa poesia Montale esprime il suo profondo dolore, nella maniera più pacata e sobria, del lutto.
Racconta di come abbia affrontato la vita sorretto dall’amore e dagli occhi di sua moglie, e che ora la sua vita non è più la stessa.
La poesia è intrisa di amore, rispetto e fedeltà a sua moglie.
Ogni commento e tentativo di parafrasi è vana, questa poesia si esprime senza necessità di alcun chiarimento.
Montale, è ancora oggi uno dei maggiori poeti della storia internazionale.
Articolo di Michael Bonannini