Sono trascorsi 24 anni dal termine delle guerre jugoslave. Un conflitto armato che vide coinvolte diverse etnie e diverse fedi: sloveni, macedoni, bosniaci, serbi e montenegrini, albanesi, musulmani, cattolici, ortodossi.“Nessuno protegge meglio un essere umano contro la stupidità del pregiudizio, del razzismo, del settarismo religioso e politico, e del nazionalismo esclusivo che questa verità che invariabilmente compare nella grande letteratura: che gli uomini e le donne di ogni luogo e nazione sono essenzialmente uguali, e solo l’ingiustizia semina tra loro la discriminazione, la paura e lo sfruttamento”
Mario Vargas Llosa
Immagini di guerra che non vorremmo più rivedere. Sono le orrende immagini passate davanti ai nostri occhi negli anni che vanno dal 1991 al 1995 e che queste popolazioni, i Rom, hanno vissuto sulla loro pelle. Il termine integrazione, oggi molto utilizzato, in quegli anni non avrebbe avuto alcun senso.
Per la Giornata Internazionale di Rom, Sinti e Camminanti, vorremmo ricordare questa popolazione vessata dal tempo ripercorrendo, brevemente, le tappe della guerra civile in Jugoslavia.
Nel 1990 la Jugoslavia abbandona il sistema di potere monopartitico e il socialismo autogestito. Da questo momento in poi, fattori interni ed esterni portano alla disgregazione, una dopo l’altra, Slovenia, Croazia, Macedonia e Bosnia-Erzegovina che, non potendo accettare il predominio serbo, si rendono indipendenti. La Slovenia e la Macedonia vivono la separazione in maniera pacifica, ma soltanto dopo una feroce guerra per la Croazia che conduce la Bosnia a sanguinosi scontri civili che nessun accordo e nemmeno l’Onu riescono ad arginare.
Nel 1980 il Kosovo, provincia serba abitata per la maggioranza dalla popolazione albanese, rivendica l’indipendenza della federazione jugoslava per potersi riunire con l’Albania, ma la Serbia risponde con violente oppressioni e si impone come potenza egemone, la sola possibilità di garantire l’unità della federazione jugoslava. Nel 1991 la Slovenia dichiara unilateralmente la propria indipendenza, e la Serbia accetta a fronte del riconoscimento del nuovo stato da parte della comunità internazionale. Nello stesso giorno la Croazia dichiara unilateralmente la propria indipendenza, ma non essendo etnicamente omogenea, l’armata serba interviene a fianco della minoranza del paese che aveva fondato uno stato indipendente dalla repubblica croata. Questa guerra si conclude a seguito di violenti scontri con il riconoscimento dell’indipendenza della Croazia e l’espulsione della popolazione serba. Dal 1992 la guerra si sposta, dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina. Nel mese di marzo, l’etnia musulmana, di poco maggioritaria, proclama l’indipendenza. Dopo il referendum, i serbi proclamano la Repubblica del Popolo Serbo di Bosnia-Erzegovina avviando una feroce guerra civile che oppone le milizie serbe a quelle musulmane e croate: non c’è limite alla crudeltà. Nel 1995 gli sforzi della diplomazia internazionale ottengono una firma da parte dei contendenti a Parigi, nonostante la vana richiesta di sistemazione definitiva dell’area. L’accordo di pace, stabilito a Dayton, negli Stati Uniti, tra i rappresentanti politici della Repubblica Federale di Jugoslavia, comprese le repubbliche di Serbia e Montenegro, e quelli della Bosnia e della Croazia, prevede la presenza militare nei paesi della Nato. Tale compromesso garantisce l’integrità territoriale della Bosnia che viene suddivisa in due parti, una amministrata dai serbi e l’altra dai musulmani con confederazione a capitale Sarajevo.
Molti innocenti persero, senza alcuna pietà e sotto l’egida di interessi pressoché inutili, la vita. Tra questi innocenti, come sempre, i bambini. Saltana Ahmtovic, Rappresentante della Comunità Rom per la Provincia di Cagliari, ricorda l’importanza del ruolo delle istituzioni circa la sensibilizzazione all’accoglimento di culture differenti dalla nostra, allo sviluppo della solidarietà sociale, all’istruzione per tutti i bambini, gli unici in grado di condurre all’abbattimento delle differenze.
Normund Rudevics, Presidente dell’International Romani Union (IRU) ricorda, invece, l’importanza della garanzia dei diritti umani per la popolazione rom e, più in generale, per le popolazioni tutte: “Un primo aspetto problematico” afferma Rudevics “è rappresentato dalla disoccupazione, fattore culturalmente decisivo che annichilisce lo stimolo alla voglia di crescere, soprattutto al desiderio per i ragazzi ad un arricchimento culturale, professionale. Un secondo importante aspetto consiste nella discriminazione politica per i rom, non ancora rappresentati, a livello di istituzioni locali
E’ necessaria l’elaborazione e la messa in campo di un programma preventivo e definitivo per tutti quei progetti atti a garantire alle famiglie rom i loro diritti, donare loro la certezza che quanto verrà fatto, gli stessi progetti ai quali potranno partecipare, abbiano una forma concreta. Spesso accade che alcuni riescano a raggiungere un traguardo, meritare un loro riconoscimento, anche in ambito accademico, ma, come per tanti accade, non riescono a realizzare il desiderio di un lavoro stabile e duraturo che corrisponda, effettivamente alla loro preparazione, al loro livello culturale. E’ comprensibile per una persona che tanto ha investito sulla sua istruzione, sulla sua formazione, sentirsi frustrata ed insoddisfatta nello svolgere un lavoro che non risponde alle sue reali ambizioni.
Registriamo ancora una certa tendenza alla discriminazione nascosta nei confronti della popolazione rom, a determinati stereotipi. L’idea di un’integrazione presuppone la possibilità, per queste persone, di possedere degli strumenti concreti atti a facilitare un percorso di riuscita personale e sociale, affinché possano garantire la continuità di lavoro anche a tutti coloro che verranno a seguito.
I rom hanno dimostrato, in 500 anni, di essere dei buoni recettori, pronti a quella che viene definita integrazione, all’accettazione delle culture locali perché disponibili alla multiculturalità, al rispetto delle leggi locali. Nel loro caso, non si è trattato ne si tratta, di immigrazioni portatrici di un peso, come potrebbero esser definite le attuali dinamiche che investono le popolazioni medio orientali.
Un aspetto mancante, forse il più importante, è sicuramente quello economico: trovare un nostro posto all’interno della società. Il più grande problema, da parte della popolazione rom, è rappresentato dalla fiducia, il riconoscimento, da parte degli altri popoli, di una multiculturalità assente da giudizi e pregiudizi che permetta l’apertura delle porte, le nostre porte al prossimo”.
Daniele Fronteddu