“Piove Governo Ladro” rappresenta la paradossale e (il)logica associazione tra una condizione meteorologica e il rapporto non sempre felice del cittadino con le istituzioni – e in particolare, verrebbe da presumere – con il sistema dell’esazione fiscale, quasi come se l’imprevedibilità e ineludibilità delle precipitazioni atmosferiche non facesse altro che rendere ancor più aspre intollerabili le sofferenze di quanti si trovassero a dover fare i conti con tasse e imposte elevate, con in più l’“aggravante” – del tutto casuale ma non per questo meno fastidiosa – dell’umidità.
Insomma un’affermazione apparentemente strampalata, in cui si reitera la lamentazione verso gli abusi di potere ovvero la corruzione e la disonestà dei governanti, ai quali si attribuisce perfino la responsabilità di un evento le cui cause sono da ricercarsi nella condensazione dell’acqua presente nelle nubi e nel gioco delle correnti:
un’iperbole, o meglio una battuta umoristica dove l’ineluttabilità del mal governo fa pendant con un inconveniente squisitamente “climatico”.
Se ascritto all’antica saggezza contadina, il proverbio potrebbe forse far riferimento agli oneri imposti dallo stato, come un tempo dai proprietari, ai danni di chi lavora(va) la terra, senza tenere in alcun conto le conseguenze del maltempo sui raccolti, i danni subiti e le spese affrontate nel calcolare l’entità del tributo, se non addirittura aumentarla a discrezione.
Ma l’apparente incongruenza potrebbe invece riflettere un’accusa e una critica dell’operato delle classi dominanti, una sorta di refrain che scaturirebbe dai malvezzi e dalle inveterate, pessime abitudini di chi gestisce la cosa pubblica, in una versione laica di altre espressioni, tra cui le non meno colorite e brucianti invettive rivolte alla divinità.
Infatti – come sottolinea Senio Giovanni Barbaro Dattena nelle note di regia – «“Piove governo ladro” è un detto che vanta molte paternità; alcuni lo vogliono di origine contadina – quando il padrone in caso di pioggia pretendeva dal contadino una gabella più alta in quanto, a suo dire, il raccolto sarebbe stato maggiore.
Altri lo fanno risalire al 1861, quando ai mazziniani torinesi saltò una dimostrazione a causa della pioggia. Il “Pasquino” (rivista satirica del tempo) pubblicò allora una vignetta rappresentante tre mazziniani sotto un ombrello con la didascalia: Governo ladro, piove! C’è anche, a questo proposito, un divertente aneddoto raccontato da Gramsci».
(E “Piove, governo ladro!” è non a caso il titolo dato a una recente raccolta di scritti gramsciani – brevi articoli e note di costume – usciti tra il 1916 e il 1918, sull’edizione torinese dell’ “Avanti!”, nella rubrica “Sotto la mole”).
La pièce del Teatro Barbaro – fin dal nome emblematico e allusivo – rimanda quindi a un’indagine sul significato letterale e metaforico delle parole, che appartengono al registro del quotidiano e cui spesso non si fa caso, se non per un’improvvisa curiosità che spinge a ricercare un’etimologia, magari sulla spinta di un uso insolito, arcaico o fuori contesto di un’espressione più o meno nota.
Le lingue sono strumenti vivi, in cui si riflette il pensiero, mutano e si evolvono e così vocaboli antichi possono trovare nuove funzioni, ma anche restare come “imprigionati” in una perifrasi il cui valore simbolico appare chiaro, mentre sfuggono le ragioni che hanno determinato la scelta di una definizione invece di un’altra.
E può essere divertente e perfino stimolante soffermarsi e “perdersi” in questi meccanismi delicati e complessi, per ritrovare le radici storiche e antropologiche, tra memoria e identità, attraverso una “fotografia” di un mondo dimenticato – quasi a voler sfuggire alla predominanza degli “anglicismi” di una civiltà sempre più “globalizzata”.
In fondo perfino nella Bibbia – il “libro dei libri” – si afferma che «In principio fu il Verbo»…
«“Piove, governo ladro” – ricorda Senio Giovanni Barbaro Dattena -, non è che uno dei tanti modi di dire che usiamo nel nostro parlare quotidiano.
La nostra chiacchiera più o meno seria è disseminata di modi di dire e proverbi, di quella che un tempo si chiamava “saggezza popolare”.
Modi di dire e proverbi che hanno una loro nobiltà e che spesso, con la loro capacità di racchiudere in poche parole un concetto che non riusciremmo ad esprimere in una pagina, ci vengono in soccorso.
Provate a spiegarvi un proverbio e vedrete quanto parole sarete costretti a usare. Spesso però questi proverbi ci facilitano un po’ troppo la vita e a volte rischiamo di parlare solo grazie a loro.
Noi abbiamo voluto giocare con questo materiale straordinario con risultati divertenti e spesso esilaranti»
E rivela: «L’arduo compito di giocare con questo materiale è affidato a due barboni a loro modo raffinati.
Due barboni che un tempo, forse, sono stati qualcosa o qualcuno. In una atmosfera rarefatta si muovono come due clown tentando discorsi, abbozzando ragionamenti, azzardando ipotesi che non li porteranno mai molto lontano.
Dire di più sarebbe rivelare troppo e quindi chiudiamo qui queste righe che non hanno la pretesa di dire niente di importante; un po’ come i nostri clown barboni, in loro non c’è altra pretesa che quella di far passare il tempo meno dolorosamente possibile. Un po’ come noi. Forse».
Tra suggestioni “beckettiane” – a partire dal celeberrimo “Aspettando Godot” – i due personaggi si interrogano sulla realtà che li circonda, al di là delle apparenze, attraverso l’enigma delle parole e nella loro follia e stravaganza (liberi da regole e convenzioni) affrontano temi cruciali come il senso della vita e le sorti dell’umanità.
INFO & PREZZI
LANUSEI / piazzale dell’Istituto Salesiano
biglietti: posto unico 10 euro
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CeDAC- Estate 2020