Si stima che in nel mondo il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale siano circa 125 milioni.
Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Dati gli attuali trend demografici, possiamo calcolare che ogni anno circa tre milioni di bambine sotto i 15 anni si aggiungano a queste statistiche.
Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano in 29 Paesi africani, mentre una quota decisamente minore vive in paesi a predominanza islamica dell’Asia.
In alcuni Stati del Corno d’Africa (Gibuti, Somalia, Eritrea) ma anche in Egitto e Guinea l’incidenza del fenomeno rimane altissima, toccando il 90% della popolazione femminile.
In molti altri, invece, le mutilazioni riguardano una minoranza, fino ad arrivare a quote dell’1-4% in paesi come Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger.
Si registrano casi di mutilazioni genitali femminili anche in Europa, Australia, Canada e negli Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia sud-occidentale. Si tratta di episodi che avvengono nella più totale illegalità, e che quindi sono difficili da censire statisticamente.
Tuttavia arrivano buone notizie dal Sudan dove la mutilazione genitale femminile è diventata un crimine, punibile con tre anni di carcere. Approvato il testo di legge che per decenni il parlamento di Khartum, finché era controllato dal dittatore Omar el Bashr, non è mai riuscito a portare in agenda.
Stime dell’Onu ritengono che l’87% delle donne fra i 14 e i 49 anni abbia subito la mutilazione genitale.
La nuova legge punisce tanto la pratica clandestina quanto l’appoggio a strutture mediche.
Tuttavia molti osservatori avanzano dubbi sull’efficacia della legge e se possa essere realmente fatta rispettare.
Un rapporto dell’Unicef condotto in 29 Paesi mediorientali e africani, 24 dei quali hanno leggi che proibiscono la pratica con diverse modalità, mostrano che la mutilazione genitale femminile è ancora pratica largamente diffusa.
“Tuttavia – evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” – alcuni commentatori sono convinti che la legge in ogni caso potrebbe stimolare una discussione a tutti i livelli della società”.