Viaggio nella temperie culturale del Novecento con la pièce originale (produzione del Teatro Stabile di Bolzano) che ricostruisce l’esistenza del ragazzo dell’Oklahoma, rievocandone talento e fortuna, trionfi e cadute – in cartellone da mercoledì 8 gennaio fino a domenica 12 gennaio (tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20:30, la domenica alle 19 e giovedì doppia recita con la pomeridiana alle 16:30) al Teatro Massimo di Cagliari e lunedì 13 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Sassari.
Sotto i riflettori insieme a Paolo Fresu (tromba e flicorno), che ha composto le musiche originali dello spettacolo, Dino Rubino al pianoforte e Marco Bardoscia al contrabbasso, insieme con l’affiatata compagnia formata da (in rigoroso ordine alfabetico) Alessandro Averone, Bruno Di Chiara, Rufin Doh, Debora Mancini, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Graziano Piazza e Laura Pozone, protagonisti di un intrigante racconto per quadri, sullo sfondo della scenografia di Andrea Belli, con i costumi di Silvia Aymonino, a sottolineare epoche e caratteri dei personaggi, mentre il light designer Alessandro Verazzi dipinge le sfumature di stati d’animo e emozioni, in una rigorosa e affascinante partitura intessuta di parole, note e visioni.
Un intenso e appassionante ritratto di uno dei miti della musica improvvisata, cronaca di una discesa agli inferi culminata nell’ultimo, tragico volo, tra luci e ombre di una carriera ricca di successi e le devastazioni inferte dall’abuso di stupefacenti, come se dietro il volto dell’angelo della tromba si celasse un abisso di fragilità e dolore da cui magicamente egli riusciva a distillare incantevoli melodie di luminosa bellezza.
Chet Baker incarna l’enigma dell’arte, quell’incontrastabile supremazia del talento e della tecnica, da cui scaturiscono opere mirabili, frutto apparentemente senza sforzo di quella sapienza antica e quasi connaturata che sembra trascendere le miserie del mondo contingente, quasi una memoria di altri mondi o delle celesti armonie descritte dai filosofi, in grado di vincere o cancellare l’orrore, per librarsi fino al sublime.
Lo spettacolo: “Tempo di Chet – La versione di Chet Baker”
“Tempo di Chet – La versione di Chet Baker” ripercorre la controversa vicenda dell’artista e dell’uomo, segnato da un dono straordinario accompagnato dall’inquietudine, da una sorta di vocazione per la sofferenza o forse semplicemente da una sciagurata inclinazione per l’oblio, con abitudini pericolose come l’abbandonarsi all’artificiale abbraccio dell’eroina, che ha saputo regalare al mondo preziosi gioielli sonori.
Se la sua vita e la sua morte sono ancora oggi avvolte dal mistero, la sua musica è straordinariamente limpida, logica e trasparente, forse una delle più razionali e architettonicamente perfette della storia del jazz – riflette Paolo Fresu. – Ci si chiede, dunque, come mai la complessità dell’uomo e il suo apparente disordine abbiano potuto esprimersi in musica attraverso un rigore formale così logico e preciso.
[foto id=”292884″]Paolo Fresu
La vita di un artista “maledetto”, tra genio sregolatezza, in scena in una forma onirica e quasi metafisica, attraverso lo sguardo del protagonista, eroe (in negativo) di una storia singolare eppure emblematica, con la musica come destino, in un gioco di specchi tra i ricordi personali e le testimonianze di parenti, colleghi e amici, per uno spettacolo-concerto che fonde la malìa delle note alla potenza espressiva del teatro, in una moderna epopea.
Ogni apparizione apre il sipario su una fase della vita dell’artista, che ha passato molti periodi lavorando e vivendo in vari luoghi d’Italia, facendo emergere anche il sapore di epoche diverse, di differenti contesti socioculturali e visioni del mondo. Si delinea la figura del grande trombettista che fra sogni, incertezze, eccessi, ha segnato una delle pagine più importanti della storia della musica – svela Leo Muscato.
Tra verità e invenzione Leo Muscato e Laura Perini “immaginano” la vita reale e onirica di un artista che ha lasciato una traccia indelebile nella memoria collettiva, per restituire attraverso “Tempo di Chet – La versione di Chet Baker” le molteplici sfaccettature di una personalità, per ridare voce a un artista capace di cantare e suonare con dolcezza struggente, ma anche di incarnare fino in fondo tutto ciò che è umano, troppo umano.
Oltre la Scena – Incontro con gli artisti: un ideale viaggio dietro le quinte di “Tempo di Chet – La versione i Chet Baker” venerdì 10 gennaio alle 17:30 nella sala conferenze della Fondazione di Sardegna in via San Salvatore da Horta n. 2 a Cagliari, dove Paolo Fresu e la compagnia insieme con il giornalista Giacomo Serreli parleranno del progetto e dello spettacolo, ma anche della figura del grande trombettista in un riflessione sui rapporti tra vita e arte, talento e successo e dialogheranno con il pubblico nell’appuntamento incastonato ne I Pomeriggi della Fondazione (ingresso libero fino a esaurimento posti).
Il regista: Leo Muscato
Leo Muscato, regista e drammaturgo, nato e cresciuto a Martina Franca (TA). Nel 1992 si trasferisce a Roma per studiare Lettere e Filosofia a La Sapienza.
Durante gli anni dell’Università entra a far parte della compagnia di Luigi De Filippo e recita negli spettacoli “Non è vero ma ci credo”, “Quaranta ma non li dimostra” e “La lettera di Mammà”.
Nel 1997 si trasferisce a Milano per studiare regia alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”. In quegli anni mette in scena i suoi primi spettacoli, orientando i suoi interessi verso la drammaturgia contemporanea.
Dal 2005 al 2008 è Direttore Artistico della Compagnia LeArt’-Teatro di Grottammare (AP), con la quale realizza il PROGETTO RI-SCRITTURE, tre drammaturgie originali da Cechov, Ibsen e Shakespeare. L’intero progetto totalizza oltre 500 repliche.
Nel 2007 l’Associazione Nazionale dei Critici Teatrali gli assegna il Premio della Critica come miglior regista di prosa.
Nel 2013 l’Associazione Nazionale dei Critici Musicali gli assegna il Premio Abbiati come miglior regista d’opera della stagione 2012.
Nel 2016 la Fondazione Verona per l’Arena gli assegna l’International Opera Awards – Opera Star (Oscar della Lirica) come Miglior Regista.
Parallelamente al lavoro di regista svolge attività di pedagogia teatrale. Conduce Master Class di recitazione e drammaturgia per attori, registi, drammaturghi e cantanti lirici. Da qualche anno è impegnato in una ricerca sulle diverse possibilità espressive dei quattro principali registri interpretativi: Tragico, Drammatico, Commedia e Comicità.
Il suo lavoro è stato oggetto di Tesi di Laurea (Università di Cremona, Urbino, Chieti e Macerata, Rome Tre).
Nel 2018 gira il suo primo lungometraggio, “La rivincita”, prodotto da Altre Storie, Rai Cinema e Apulia Film Commission.
Dopo “Il viaggio di Alice” di Evelina Santangelo al Festival Palermo Di Scena “La cruna dell’ago” di Diego Papaccio e “Io e Matteo” di Annalisa De Lucia con il Laboratorio Teatro Settimo – Scuola Holden Torino, arriva la sua “Terra dei Miracoli” alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”. Si confronta con i grandi classici – da Luigi Pirandello a Anton Čechov e Henrik Ibsen, fino a Giovanni Testori, Beppe Fenoglio, Tom Stoppard e Pedro Almodovar.
Tra i suoi ultimi lavori per il teatro di prosa, la regia de “Il nome della rosa” dal romanzo di Umberto Eco e “Vangelo secondo Lorenzo” su don Lorenzo Milani, “Nati sotto contraria stella” da William Shakespeare e “Non è vero ma ci credo” di Peppino De Filippo.
CAGLIARI – La Grande Prosa al Teatro Massimo
Biglietti:
- platea, primo settore, intero 35 euro e ridotto 27 euro;
- platea, secondo settore, intero 30 euro e ridotto 22 euro;
- loggione, posto unico, 15 euro.
Info e prenotazioni: [email protected] – 3454894565.
SASSARI / La Grande Prosa e Danza – Stagione 2019-2020
Biglietti:
- platea, primi posti, intero 25 euro e ridotto/ insegnanti 20 euro;
- platea, secondi posti, intero 20 euro, ridotto/ insegnanti 18 euro e studenti 15 euro;
- loggione, 15 euro;
- loggione studenti, 12 euro.
Info e prenotazioni: cell. 3391560328 – [email protected]
Prevendite:
- Le Ragazze Terribili – via Tempio, 65 – Sassari – 079.2822015
- Mesaggerie Sarde – piazza Castello 11 – Sassari – 079.230028
Note al testo di Leo Muscato e Laura Perini
Lui non voleva fare altro che suonare e cantare e sperare di lasciare qualcosa di buono dal punto di vista musicale. Questo sforzo è la cosa più bella. Stare qui a discutere perché ha fatto questo o quest’altro, o cos’altro avrebbe potuto fare, che senso ha? Io lo so cosa direbbe lui: “Di cosa state parlando? Tutti fanno degli sbagli. Cos’hanno i miei di tanto peggio di quelli degli altri? Lasciatemi in pace!”. La maggior parte delle persone non ci provano nemmeno, non arrivano da nessuna parte, non vivono. Chet era un bugiardo, un imbroglione, un figlio di puttana, ma almeno lo ha fatto. Milioni di persone a Wall Street vanno in bagno e si bucano con addosso il loro bel vestito e con molta meno rilevanza nella loro vita. È l’assenza di anima contro l’anima. Ed è per questo che le persone gli gravitavano intorno. Lui sapeva davvero dove si dirigeva spiritualmente. Chet era uno spirito libero, il che significa che era in contatto con il suo spirito – Ruth Young (compagna di Chet Baker).
Un jazz club. Un uomo completamente arreso è seduto al bar. Si guarda attorno, sembra cercare qualcosa o solo accertarsi che il vuoto sia tutto lì, rassicurante e definitivo. È Chet Baker. Una musica gentile e insistente che lui conosce bene, lo avvolge come dentro a una bolla sospesa. Da luoghi dimenticati nel tempo, affiorano persone che aprono sipari. Sono i genitori, le amanti, gli amici della giovinezza, i colleghi musicisti, i critici musicali. Ricordano momenti, li rivivono. Lui ascolta da distanze siderali; ogni tanto è chiamato a reinterpretare se stesso, senza potersi esimere. In un’altalena di passato-presente emergono fatti ed episodi disseminati lungo l’arco della sua esistenza.
Nasce nell’Oklahoma delle tempeste di polvere; il crollo del ’29 risuona ancora nella testa del padre alcolizzato che trasferisce la famiglia sulla West Coast a caccia di nuovi inizi; ma perde lavori uno dopo l’altro e sfoga le sue frustrazioni su moglie e figlio.
Ragazzino, Chet Baker salta sulle scogliere delle coste californiane a precipizio sull’oceano per lasciarsi tutto alle spalle: il jazz è la via di fuga, il sogno d’una vita diversa. Ha un talento raro, che fa il paio con una bellezza fuori del comune.
Il mito di Chet Baker si compone alla velocità della luce: è quello dannato di chi cammina di lato, rasente i muri, schiva la normalità e assaggia gli eccessi. L’eroina diventa una consolazione quasi mistica.
La sua parabola è consueta e ha i lineamenti dell’ascesa e caduta di un mito: il successo, le copertine, le donne pescate dal mazzo come carte da gioco, i figli. Poi un atto dovuto, come pegno da restituire per tanta fortuna insperata, per i colpi violenti prevedibili (l’andirivieni dalle carceri, i processi, l’estradizione da mezza Europa) e per quelli che precipitano addosso inattesi (il talento che sembra andare in fumo, una morte che non t’aspetti). E la vita presenta il conto.
Non è stato facile avere a che fare con Chet Baker. Neanche per Chet Baker è stato facile avere a che fare con se stesso.
Le persone che a lui sono state legate nel corso della vita a diverso grado e titolo d’intimità, ora sembrano intervenire per ricordare proprio questo.
Ognuno di loro è il portatore sano d’un pezzetto di verità, la propria, e tutti insieme formano un coro. Ne emerge un collage di punti di vista che offre una visione multisfaccettata dell’esperienza umana di Chet Baker.
Eppure questo coro, proprio a dispetto della sua natura drammaturgica uniformata di sguardo degli altri, sembra non riuscire a restituire i contorni di un’ulteriore verità, quella che attiene al senso ultimo di un’esistenza. Perché il mistero della vita di un uomo non si riesce a cogliere neanche osservando la giostra delle sue vicende umane.
E questo vale sicuramente per Chet Baker, uno dei miti musicali più controversi e discussi del Novecento, e per la sua musica: «Il grido più struggente del ventesimo secolo».
Così la stampa:
In realtà si tratta di una vera opera jazzistica – spiega Fresu. – Non solo il percorso di un genio maledetto, ma anche uno spaccato di storia della musica del secolo scorso e di un’epoca tormentata che ha visto Baker protagonista negli USA e anche in Italia – Giuseppina Manin, Corriere della sera.
Oltre a costituire un omaggio a uno dei più geniali e tormentati trombettisti e cantanti jazz del Novecento quale è stato Chet Baker, l’allestimento presenta una mirabile commistione interattiva tra il linguaggio della parola e il linguaggio della musica. E questa è la sua accattivante e vincente particolarità. La formula drammaturgica funziona alla perfezione perché valorizza tanto il bel testo scritto a due mani da Leo Muscato e Laura Perini, quanto le musiche originali composte dal talentuoso Paolo Fresu (…) – Massimo Bertoldi, Hystrio.
Le chiavi del successo di questo spettacolo, che comincia ora una tournee triennale (…), sono molteplici, a partire dall’interpretazione e dagli arrangiamenti di Paolo Fresu, da una regia che adopera con maestria i diversi registri interpretativi, da un cast e da otto bravi attori che trasmettono una forte intesa (…) – Monique Ciola, L’Adige.
Una versione che ha trovato la sua originale “forma” in questo spettacolo, che scorre come uno strano sogno ben raccontato, impasto di parole e musica miscelate in sinfonia. È una sorta di opera lirica in prosa, con la buca dell’orchestra rovesciata in su (…) – Paolo Mazzucato, Alto Adige.
Ebbene, “Chet” interpretato da Paolo Fresu e da Alessandro Averone (un musicista-compositore e un attore che trasformano felicemente in oro zecchino tutto quanto toccano) ha entusiasmato, commosso e stregato fin dalla anteprima, alba di un lungo viaggio nei teatri italiani che ci auguriamo si arricchisca ancora – Giancarlo Riccio, Salto.
(.. ) spettacolo orchestrato benissimo, dove appaiono personaggi centrali in quella vita (…) Fresu, con i suoi due eccellenti coangeli, soffia dall’inizio alla fine la musica dell’anima, ponendo il jazz in quella dimensione tra terra e cielo in cui e per cui nacque (…) Forte e poetica idea autorale e registica – Roberto Mussapi, Avvenire.
Il didascalismo ha una logica precisa e sensata – raccontare al grande pubblico una storia esemplare, ma poco o per nulla conosciuta (…) – Luigi Bolognini, La Repubblica.