(Adnkronos) – Artisti, certo. Ma anche miliardari, collezionisti e curatori. Il Padiglione della Russia ai Giardini della Biennale è stato ceduto alla Bolivia, ma il mondo russo che gravita intorno all'arte, e al mondo degli affari, era ben rappresentato a Venezia nei giorni dell'inaugurazione della 60/a Esposizione Internazionale. Quasi come se nulla fosse. Lo yacht Odessa II del magnate Len Blavatnik – ex socio del colosso del petrolio Tnk-Bp acquisito da Rosneft, ora patron di Warner Music Group con la sua Access Industries, da tempo trasferito in Gran Bretagna, poi negli Stati Uniti – è rimasto attraccato quasi tutta la scorsa settimana alle Zattere, a pochi passi alla sede veneziana della Fondazione V-A-C finanziata da Leonid Mikhelson, patron di Novatek, importante gruppo russo del settore del gas, spazio e chiuso dall'inizio della guerra contro l'Ucraina. La collezionista Inna Bazhenova, imprenditrice con interessi nel settore del gas e del petrolio, dopo il trasferimento, all'inizio degli anni Novanta, di tecnologie dall'aeronautica al settore dell'estrazione, ha lanciato la piattaforma per l'arte digitale Taex alla Scoletta dei Battioro e Tiraoro a Campo San Stae, sul Canal Grande. Fra i numerosi ospiti russi dell'inaugurazione della mostra "Scoletta dell'arte: Digital Reform", Olga Sviblova, direttrice del Museo per l'arte multimediale di Mosca Mamm, appena riaperto dopo una lunga ristrutturazione. E due degli artisti del collettivo AES+F di cui sono collezionisti sia Blavatnik che l'imprenditore dell'IT, Aleksandr Popov, ancora residente a Mosca e anche lui avvistato a Venezia in questi giorni. Nel 2007 la loro opera "Last Riot" era stata scelta per il Padiglione della Russia per la Biennale. Il giorno dell'inizio dell'invasione contro l'Ucraina, AES+F aveva aggiunto uno sfondo nero all'account Instagram, firmato una petizione contro la guerra, "e iniziato a tacere". "Non un silenzio di conformismo o accordo. Ma di shock e impotenza", avevano scritto gli artisti in un comunicato da Berlino, dove risiedono. Ha partecipato all'inaugurazione della prima iniziativa di Taex, anche Daria Pushkova, direttrice del Centro russo di scienza e cultura di Roma. Champagne e chiacchiere. Opere digitali di sei artisti contemporanei e di altrettanti 'classici', inclusi Théodore Géricault e Kazimir Malevich, disegni e dipinti dalla collezione privata della mecenate originaria di Nizhi Novgorod, che da tempo si è trasferita a Monte Carlo con il marito Dmitry Samorukov, e lo scorso autunno ha ceduto Art Newspaper, che aveva acquistato nel 2014, al gruppo AMTD di Hong Kong. "Digital Art Makes History Too" e Come and Play with Us" le scritte al neon montate sulla facciata del Palazzo costruito a inizio Settecento. Il futuro? "Impossibile fare previsioni". "Ma io a Mosca ci sono nata e non me ne vado", il commento di una delle invitate. "Ieri ci siamo rincontrati dopo due anni, contenti di rivederci e di essere a Venezia – spiega parlando all'Adnkronos un'altra delle personalità presenti – Ma il nostro mondo dell'arte contemporanea, non è lo stesso di prima, anche se Mosca pullula di mostre e iniziative". I contributi pubblici dello Stato caduti a pioggia sulla società in questi anni di guerra devono aver interessato anche il settore dell'arte. Ritorno a un principio di realtà il giorno dopo alla Galleria itinerArte di Dorsoduro, dove Andrey Bilzho artista, autore e illustratore molto noto nel suo Paese per il personaggio di Petrovich, ha aperto la mostra "oddlander", scarpe d'oro ai piedi delle sedie, un letto da bambino con una bandiera da cerimonia sovietica come coperta, tavolini laccati con tecniche tradizionali russe, personaggi animali e tanti disegni alle pareti, molti dei quali sulla guerra e la repressione in Russia. "Questo è il mio universo. L'ho trasferito qui", spiega all'Adnkronos l'artista, "nato tre mesi dopo la morte di Stalin in una famiglia di nemici del popolo" e che, dall'inizio dell'invasione, si è trasferito stabilmente a Venezia, dove vive con un visto da rinnovare ogni anno che non gli consente di lavorare e una casa come la sua mostra. Psichiatra prima di dedicarsi completamente al disegno, nei giorni successivi al 24 febbraio del 2024 ha ascoltato al telefono, cercando di contenerli, i traumi dei suoi contatti ucraini. Quasi tutti i suoi ospiti hanno lasciato la Russia, come lui. Incluso Marat Gelman, agente straniero dal 2021 e nell'elenco delle persone ricercate in Russia dall'anno successivo, già consulente politico del Cremlino e direttore del Museo di arte contemporanea di Perm, curatore ben integrato fino ai primi anni duemila. Nel 2014 si è trasferito in Montenegro, ora vive a Berlino, dove ha aperto una galleria che devolve parte dei suoi introiti a fondi ucraini. E ha appena presentato a New York la mostra "Blue Lard "#cancelrussianculture" dello scrittore Vladimir Sorokin. Molti sono i russi anche fra i visitatori della mostra allestita a Cà Foscari "Uzbekistan: l'Avanguardia nel deserto. La forma e il simbolo", aperta sempre a ridosso dell'inaugurazione della Biennale e curata dalla direttrice dello Csar, Centro di studi sull'arte russa, Silvia Burini, al centro di polemiche nel 2014 per aver conferito e consegnato a Mosca, era allora prorettrice dell'ateneo veneziano, un riconoscimento all'allora ministro della Cultura Vladimiv Medinsky, e aver ricevuto, a sua volta, pochi mesi dopo al Cremlino, il Premio Pushkin. Così come molti sono i russi a spasso nelle calli o seduti al tavolo di un ristorante della città. Magari dopo aver letto "Moia Venezia – 2", la "guida alternativa" firmata da Bilzho. (dall'inviata Simona Poidomani) —internazionale/[email protected] (Web Info)
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