Presentato nella Sezione Notti Veneziane delle Giornate degli Autori alla 79° Mostra del Cinema di Venezia, La Timidezza delle Chiome è uno dei film più interessanti del panorama italiano che solleva – tra righe trasversali e sviluppi non lineari – il tema dell’autorealizzazione. Due protagonisti iconici e una crew di notevole capacità adattiva ci propongono un’opera eminentemente character driven, in cui la disabilità intellettiva fa attrito con le usuali confezioni del mondo e sovverte il modo stesso di fare Cinema.
A cavallo tra fiction e documentario, è la storia parallela di Joshua e Benjamin Israel. Accento romano apparentemente inspiegabile, persi per boschi e Navigli, addestramenti militari e musica, questi stilosissimi gemelli si relazionano alle proprie scelte di vita e a un’identità in fieri. Come pegno, bernoccoli e tabù infranti.Il sesso o l’amore, la scissione di una simbiosi, la religione che si innesta sui i riti di passaggio dei coetanei – più o meno traumatici o con esiti incredibilmente imbarazzanti, resi schietti e dolcissimi dal carisma senza filtri dei due e da una regia intelligente, dinamica, tarata sulle specificità dei protagonisti e sensibile a un gusto estetico internazionale ben noto alle nicchie cinefile.
Il fascino dell’unicità, un ritmo di montaggio rapidissimo che interfaccia il girato ai filmini d’infanzia, senza omissione alcuna di lirismo spontaneo, talvolta difficile da incanalare.
Il film, attualmente nelle sale, è prodotto da Diaviva per l’Italia e Movieplus per Israele, distribuito in Italia da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.
All’anteprima bolognese tenutasi nei giorni scorsi presso il Cinema Orione è intervenuto il cast artistico e tecnico, a cominciare dalla regista Valentina Bertani.
Cos’è la timidezza delle chiome?
BERTANI – L’idea del titolo viene da una chiacchierata con un amico botanico; mi spiegava che alcuni alberi crescendo smettono di toccarsi, si dice,
per non farsi ombra e ho trovato bellissimo questo parallelismo per descrivere due gemelli omozigoti che crescono insieme, giocano, litigano e poi devono emanciparsi l’uno dall’altro per diventare grandi. A loro è accaduto questo e in questi cinque anni dall’inizio del progetto anche il nostro rapporto è cresciuto.
Com’è nato il film?
BERTANI – Ho notato Benji e Josh per strada e per me che sono affascinata dall’estetica dei film di Harmony Korine (Gummo, Spring Breakers), loro due incarnavano la bellezza oltre ogni stereotipo. Li ho avvicinati sui Navigli, ma loro hanno continuato a camminare ignorandomi. Ho chiesto di loro in zona ed è saltato fuori che sono conosciuti per via delle attività di famiglia, così ho avuto i contatti della loro mamma e all’incontro che ne è seguito mi sono presentata senza un’idea precisa, insieme ai miei due sceneggiatori.
Come si è svolta la lavorazione del film?
BERTANI – Veniamo dalla pubblicità, dal videoclip e dal fashion. A Milano non c’è una cultura cinematografica ed è stato difficilissimo convincere un produttore per fare un film. Abbiamo prodotto la primissima scena, partecipato e vinto a un market e abbiamo chiesto a dei produttori internazionali il supporto utile a girare le scene sul campo d’addestramento militare in Israele, con una produzione del luogo che ha iniziato un iter molto complesso.
SCENEGGIATORI (IRENE POLLINI GIOLAI) – Avevano appena lavorato a un documentario, ma non sapevamo dove loro due ci avrebbero portato. Abbiamo scritto e riscritto il film facendolo, i gemelli sono autori quanto noi, abbiamo cercato di dare voce al loro punto di vista senza imporre il nostro.
(EMANUELE MILASI) – Ci hanno insegnato non solo a scrivere in modo alternativo, ma anche come mettere in scena qualcosa del genere; il lavoro sul set è stato collettivo.
BERTANI – Tutti noi abbiamo studiato la grammatica del cinema ma abbiamo dovuto dimenticarcela. Si tratta di un film senza regole, ad esempio non sapevamo dove posizionare la macchina da presa perché ci rendevamo conto che la regola non poteva funzionare, tendono anche a starsi molto addosso fisicamente fra loro. Così li seguivamo con una inquadratura master in cui tutti eravamo liberi di muoverci a caso, poi aggiustavamo il tiro per costruire qualcosa di piacevole dal punto di vista visivo. Era un set molto libero, quindi ci sono mille versioni della stessa scena e degli stessi dialoghi.
DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA (EDOARDO CARLO BOLLI)- La forza era stare con loro e vivere quello che in quel momento stavano vivendo, senza pensare alla costruzione dei campi e via dicendo.
Quanto c’è di vero e quanto di recitato? L’esperienza militare lo è?
BENJAMIN: Madonna, se è reale.
BERTANI – A livello di scrittura lavoravamo su uno slittamento costante tra reale e non reale, ma c’è moltissimo di vero. Lavorare con l’esercito israeliano, ad esempio, è stato impegnativo; per esempio ci impedivano di fare inquadrature strette, per le quali avremmo necessariamente dovuto frapporci a reclute e comandanti, ma loro non ammettevano che interrompessimo in questo modo la linea degli sguardi.. Alla fine le abbiamo fatte ugualmente senza mediare troppo, facendo tre passi in avanti e rischiando un po’. In quel momento ho capito di aver infranto una parete e ho potuto terminare il film.
Anche la scena della litigata alla tavola di Natale era reale; loro hanno iniziato a prendersi a testate e mentre litigavano noi, che siamo stati accolti senza riserve da questa famiglia meravigliosa, gridavamo: “Fermi, fermi! Dobbiamo girare i primi piani!” e ricominciavano a prendersi a testate.
SCENEGGIATORI (GIOLAI) – Non abbiamo mai sforato troppo dal loro vissuto. Alcune situazioni, come quella della escort che irrompe in casa spaccando il vetro di casa è reale, noi l’abbiamo ritratta attraverso una seduta dalla psicologa come escamotage per non riprodurla in un modo troppo forzato.
Com’è nata la colonna sonora?
COMPOSITORE (LORENZO CONFETTA)- Ho lavorato a togliere e ho cercato di rendere tridimensionale il suono. Inizialmente dovevo occuparmi di sound design, con un discorso più cerebrale ad affiancare le immagini. Nei titoli di testa ci sono tre note e per me quello era già rappresentativo del film, poi abbiamo sviluppato tramite contaminazioni elettroniche attuali – perché i ragazzi hanno vent’anni – e sull’ossatura di alcuni pezzi di un musicista israeliano contemporaneo. Abbiamo prodotto anche sonorità più classiche, con gli archi, dove non c’è solo cromia ma anche dei suoni molto più cinematici, che assecondano la maturazione dei personaggi.
Perché parlare in romano, se siete di Milano?
JOSHUA – Al campeggio stavo io sempre con le pischelle, che erano romane e mi hanno attaccato questa meravigliosa malattia.
Quale scena del film preferite?
JOSHUA – La scena più bella è quella in cui papà mi spiega come usare i preservativi, lui faceva troppo ridere.
BENJAMIN – Quando suono l’Inno alla Gioia.
A cura di Tiziana Elena Fresi.