Lea Garofalo: una donna contro la mafia
La storia di Lea Garofalo è la storia di una donna che, con le proprie forze, ha cercato in tutti i modi di difendersi dal mondo mafioso in cui era nata e cresciuta, che l’ha circondata e perseguitata per tutta la vita.Una battaglia che, purtroppo come nella maggior parte dei casi, la porterà alla morte.
L’ambiente in cui nasce e cresce Lea Garofalo
Lea Garofalo nasce nel 1974 a Petilia Policastro, un piccolo paese nella provincia di Crotone.
L’anno seguente, quando aveva solo otto mesi, il padre, un boss di Petilia Policastro, venne ucciso al culmine di una faida familiare:
la famiglia Garofalo e la famiglia Mirabelli, in quel tempo, erano in lotta fra loro.
Così Lea crebbe senza una figura paterna, con la mamma, la sorella Marisa e il fratello Floriano, che, alla morte del padre, assunse il ruolo di capofamiglia con il compito principale di vendicare la sua morte, con una nonna che le insegnava che “il sangue si lava con il sangue”.
Cultura ed esperienze di vita criminale che l’avevano circondata fin da quando era bambina e che mostrarono fin da subito le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare.
Ma Lea non si riconosceva in quei valori e ha sempre impiegato tutte le sue forze per combatterli.
La relazione con Carlo Cosco…
A tredici anni Lea si innamorò del diciassettenne Carlo Cosco e decise di trasferirsi con lui a Milano:
il pensiero principale che muoveva Lea era quello di allontanarsi il più possibile dal clima e dalla cultura mafiosa di cui era imbevuta Petilia Policastro e, in parte, la sua famiglia.
Queste erano le sue speranze.
Quando giunse a Milano insieme a Carlo, Lea si rese presto conto che le cose non stavano procedendo come lei sperava e desiderava:
abitavano in un grande palazzo occupato abusivamente da almeno venti famiglie affiliate alla ‘ndrangheta e Lea non poteva immaginare che proprio Carlo gestisse un grosso traffico di stupefacenti che gli permetteva di controllare la zona nella quale abitavano.
Lea si era trovata a rivivere la vita secondo gli schemi culturali da cui stava cercando disperatamente di allontanarsi.
…e la nascita di Denise
Nel 1991 dalla relazione con Carlo nacque Denise e Lea riporrà in lei tutte le sue forze e le sue speranze.
Ma presto la situazione iniziò a peggiorare.
L’anno successivo all’uccisione di Antonio Comberiati nel 1995, avvenuta sotto le finestre della casa di Lea, verranno arrestati Carlo e il fratello di Lea, Floriano:
a questo punto Lea, terrorizzata e con il solo pensiero di proteggere la figlia, era decisa e determinata a porre fine alla sua relazione con Carlo Cosco.
Nel 2000, quando Denise aveva 9 anni, prese coraggio e decise di fuggire con lei, prima a Lodi poi a Bergamo dalle Suore Orsoline.
Era fermamente convinta della sua decisione e voleva iniziare a costruirsi una propria autonomia: iniziò così a lavorare in una pizzeria.
Iniziano le persecuzioni e Lea Garofalo diventa testimone di giustizia
Ma fin da subito Lea iniziò a subire numerose minacce e persecuzioni che le resero la vita impossibile;
per questo decise, nel 2002, di diventare testimone di giustizia, fornendo informazioni rilevanti su diversi fatti criminosi e traffici dei quali era a conoscenza, tra cui l’omicidio di Comberiati.
Una decisione coraggiosa per una donna sola con una figlia piccola, circondata da persone provenienti da ambienti criminali che la perseguitavano e minacciavano.
Da sola e contro tutti Lea si spostò in giro per l’Italia con la figlia Denise, tra cambi di identità costanti e atteggiamenti poco rispettosi, spesso anche da parte delle istituzioni e delle autorità:
Lea si sentiva trattata come una camorrista, una criminale, tutto quello che con le sue sole forze stava cercando disperatamente di combattere.
L’atteggiamento distante delle autorità nei confronti di Lea Garofalo
Le vicende familiari e l’ambiente di provenienza di Lea venivano considerati elementi a suo sfavore, a sottolineare quanto fosse difficile allora, e quanto lo sia ancora oggi, cercare di uscire da un simile ambiente e dai conseguenti pregiudizi, quando ne sei imbevuto e circondato fin dalla nascita.
Nel frattempo Carlo credeva fermamente che il fratello di Lea, Floriano, la stesse aiutando e proteggendo così, nel 2005, ordinò di ucciderlo.
Un ulteriore terribile avvertimento per Lea che, però, non venne recepito come tale dai magistrati che decisero, assurdamente, di farla uscire dal programma di protezione:
i magistrati ritenevano che le sue testimonianze fossero poco rilevanti ai fini delle indagini.
L’atteggiamento distante della autorità continuava a minare la credibilità di Lea e ad isolarla; chiedeva solamente di essere protetta e ne aveva tutte le ragioni.
L’incontro con Don Luigi Ciotti e con i gruppi Abele e Libera…
Lea era disperata e si sentiva sola e abbandonata anche dalle istituzioni e dallo Stato:
aveva scritto una lettera al Presidente della Repubblica per chiedere aiuto affinchè venissero rispettati i suoi diritti.
Ma le minacce e le persecuzioni, purtroppo, non finirono qui: un giorno un uomo entrò in casa sua presentandosi come idraulico e tentò di ucciderla e solamente la presenza di Denise fece desistere l’assassino.
Nel 2008, durante una manifestazione a Firenze, Lea fece una preziosa conoscenza:
ebbe modo di conoscere Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente del gruppo Abele e di Libera, che affidò subito il caso di Lea ad Enza Rando, la responsabile dell’ufficio legale dell’associazione, che la aiutò ad essere riammessa al programma di protezione.
Ma Lea era ormai spaventata e sfiduciata, non si sentiva creduta dalle autorità, non si fidava e vi rinunciò.
…e l’ultima visita a Carlo Cosco
Decise di tornare in Calabria per l’estate dalla mamma e dalla sorella ma era stanca, spaventata e soprattutto molto preoccupata dalla poca stabilità che riusciva a garantire alla vita della figlia Denise.
Nel Novembre del 2009 Carlo convinse Lea e Denise ad andarlo a trovare per poter parlare del futuro della figlia;
giurava di aver accettato l’idea della separazione e affermava di volersi occupare della figlia.
Era una trappola per Lea e un inganno per Denise.
La scomparsa e il femminicidio di Lea Garofalo…
Il 24 novembre del 2009 Lea scomparve:
Denise, ormai diciottenne, da subito non si fece convincere dai racconti del padre e lo indusse a sporgere denuncia mentre lei nel frattempo raccontava tutti i dettagli e i sospetti che nutriva nei suoi confronti alle autorità.
Denise fu messa subito sotto controllo e le venne suggerito di comportarsi con il padre come se nulla fosse accaduto;
l’unica richiesta che Denise fece fu quella di vivere con la zia e con la nonna.
Fingeva di aver creduto alla versione della scomparsa volontaria della mamma che il padre gli forniva ma purtroppo era perfettamente consapevole della realtà dei fatti e di dover continuare a portare avanti la battaglia della mamma Lea.
L’anno seguente Carlo Cosco venne arrestato per il rapimento di Lea.
In parte ristorata e rassicurata dalla notizia dell’arresto, Denise conobbe Carmine Venturino, un ragazzo che divenne il suo fidanzato e con il quale gestiva insieme una pizzeria a Petilia.
…e la difficile lotta della figlia Denise
Denise era convinta, con l’arresto del padre, di essersi messa alle spalle il mondo criminale che aveva accompagnato la sua esistenza e quella della mamma che, per questo, aveva perso la vita.
Purtroppo si sbagliava.
Carmine Venturino era stato messo a fianco di Denise dal padre Carlo per controllarla, convinto che Denise fosse scesa a patti con le autorità e che fosse dalle stesse controllata.
Venturino aveva anche l’ordine di ucciderla se queste supposizioni di Carlo si fossero rivelate fondate.
Denise era totalmente ignara di ciò che la stava per travolgere.
Denise scopre tutte le verità
Un blitz dei Carabinieri le permetterà di aprire gli occhi e conoscere la verità:
in caserma venne informata che le indagini per la scomparsa della madre erano andate a buon fine, e scoprì, purtroppo, che anche Carmine Venturino era una pedina in questo triste gioco di vite.
La persona della quale pensava potersi fidare per cominciare una nuova vita non era altro che un controllore, messo al suo fianco dal padre con il solo fine di continuare a dirigere la sua vita.
Nel 2012 Carmine Venturino confessò tutto ciò che sapeva sull’omicidio di Lea Garofalo:
le sue dichiarazioni permisero di ritrovare i resti di Lea in un terreno privato a San Fruttuoso, un quartiere di Monza.
Denise si rivolse all’associazione Libera per entrare in un programma di protezione testimoni e andò via per sempre dalla Calabria.
È tutt’oggi inserita in questo programma, costretta a vivere nel totale anonimato.
Una storia che non deve essere dimenticata
Lea Garofalo e la sua storia resteranno per sempre un esempio concreto di lotta alla mafia.
Una lotta che parte dall’allontanamento di Lea dalla sua famiglia e dal suo paesino d’origine per cercare di liberarsi di quella cultura che aveva conosciuto fin da quando era bambina per arrivare poi ad essere una testimone di giustizia, sola e fuggitiva con una bambina a carico.
Una lotta mai terminata neanche dopo la morte, portata avanti attraverso le generazioni dalla figlia Denise, che ha ereditato tutto il coraggio della mamma e che ha permesso, grazie al suo contributo e ai suoi sacrifici, di far condannare suo padre per la scomparsa e la morte della madre Lea.
Elena Elisa Campanella