Un duplice ritratto al femminile con “Maria Stuarda” di Dacia Maraini per la seconda puntata del ciclo dedicato alla poetessa e scrittrice nonché autrice teatrale fiorentina, una tra le voci più interessanti della cultura italiana contemporanea inserito nel trittico dedicato alle drammaturghe che ha dato il la a“FiloDiffusione” – il progetto del CeDAC per la creazione di una “libreria virtuale” tra interpretazioni di classici e testi contemporanei nell’ambito di Legger_ezza / Promozione della Lettura online da venerdì 28 gennaio alle 19 sul Canale YouTube del CeDAC Sardegna.
Sul palco del Jazzino l’attrice Lea Karen Gramsdorff presta volto e voce a Elisabetta I d’Inghilterra e Maria Stuarda – le due regine rivali – che incarnano due aspetti differenti, quasi opposti della femminilità nel rapporto difficile con il potere: l’algida e austera Regina Vergine figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, decisa a non sottomettersi al giogo del matrimonio e la passionale e “scandalosa” sovrana scozzese in esilio, imprigionata dalla cugina, cui si era affidata, non meno conscia del proprio rango e della propria autorità. L’analisi del testo – liberamente ispirato all’omonima tragedia di Friedrich Schiller – è curata da Irene Palladini (Ricercatrice di Letteratura italiana moderna e contemporanea – Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali dell’Università di Cagliari) per una attenta e interessante riflessione sulla condizione femminile, sul ruolo e il valore simbolico del “corpo” e sull’aspirazione alla libertà.
Viaggio dietro le quinte e tra le righe di “Maria Stuarda” di Dacia Maraini, affascinante dramma moderno liberamente tratto dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller, con la première venerdì 28 gennaio alle 19 sul Canale YouTube del CeDAC Sardegna della seconda puntata del “capitolo” incentrato sull’opera della scrittrice e poetessa, fiorentina, autrice di saggi e di numerose e fortunate pièces teatrali, inserito nel trittico dedicato alle drammaturghe sotto le insegne di “FiloDiffusione” – il progetto del CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna per la creazione di una “libreria virtuale” tra interpretazioni di classici e testi contemporanei nell’ambito di Legger_ezza / Promozione della Lettura (LINK: https://www.youtube.com/watch?v=bY98kbs92jw).
Un’analisi dei contenuti e del registro stilistico della pièce, vent’anni dopo la fortunata mise en scène con Elisabetta Pozzi e Mariangela D’Abbraccio, con l’introduzione e gli approfondimenti a cura di Irene Palladini (Ricercatrice di Letteratura italiana moderna e contemporanea – Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali dell’Università di Cagliari) e le letture affidate all’attrice e regista Lea Karen Gramsdorff, che interpreta le due eroine alle prese con il dilemma tra la ragion di stato e le ragioni del cuore.
Focus sul tema del “corpo” come elemento fondamentale della grammatica scenica in cui si “incarnano” attraverso l’interpretazione sentimenti, pensieri, dubbi, inquietudini e desideri dei personaggi, e sulla questione centrale nei racconti e nei romanzi, non meno che nel teatro di Dacia Maraini della condizione femminile in seno alla società nelle diverse epoche, in un confronto dialettico tra passato e presente: «Il tema che scuote, agita i personaggi nella loro quotidianità e muove le parole dismesse ma raffinatissime di Maraini» sottolinea Irene Palladini – «e fa vibrare il testo di fierezza attraverso le parole delle due donne regine – una fierezza raschiata al fondo della disperazione è il tema della libertà. Si può essere libere dalle ragioni o s-ragioni della storia e del potere con il suo tallone di ferro, si può essere libere dai dettami di una religione che pronuncia parole di sangue e di vendetta… si può essere donne e regine libere?».
«Nonostante “Maria Stuarda” fosse intitolato a una donna, nel celebre testo di Schiller le donne erano poco presenti» – sottolinea Dacia Maraini -. «Allora ho pensato di rovesciare tutta la vicenda, moltiplicando i ruoli femminili, per descrivere il rapporto tra le donne e il loro diverso atteggiamento nei confronti del potere». La pièce, in una sorta di montaggio alternato cinematografico, mostra le due protagoniste alle prese con lo scorrere degli anni e lo svanire della bellezza, occupate a risolvere questioni private e affari di stato, nell’attesa vana di lettere che non giungono mai, ma anche stranamente ossessionate l’una dall’altra, come se quell’assenza e quel silenzio reclamassero una risposta, un’attenzione e una vigilanza costante, per quell’ambiguo rapporto tra carceriere e carcerato che le rende entrambe prigioniere, mettendole in un’impasse, in una situazione senza via d’uscita.
Dacia Maraini inventa un dialogo a distanza tra due regine rese nemiche dalle leggi di successione e dall’antagonismo tra cattolici e protestanti, unite da un legame di sangue ma destinate a contendersi il trono d’Inghilterra, in un intrigante gioco di specchi: Maria Stuarda si confida con (la signora) Kennedy, la sua nutrice mentre la cugina Elisabetta (figlia di Enrico VIII) conversa con Nanny, una dama di compagnia (oltre a incontrare Letizia, vedova del conte di Lennox), entrambe messe a nudo nell’intimità della vita quotidiana, tra momenti di frivolezza, rimpianti e inquietudini.
Il fascino e la complessità di due donne diversissime, la “scandalosa” sovrana di Scozia in esilio, creatura appassionata e temeraria, circondata da un’atmosfera di intrighi e delitti, imprigionata per volere della sua stessa cugina, e l’algida e enigmatica Regina Vergine, figlia di Anna Bolena, con la sua brillante intelligenza e la sua ferrea ambizione, tra (ipotetici) segreti amori e tradimenti, sullo sfondo di feroci guerre di religione e sanguinose lotte per il potere.
Il trionfo di Elisabetta I d’Inghilterra – al prezzo della condanna a morte di Maria Stuarda, accusata di alto tradimento – rende ancora più evidente la solitudine della regina, nella rinuncia a ogni possibile comprensione e perdono, a ogni forma di “sorellanza” anche verso colei che, costretta ad abdicare, in fuga dai propri avversari, si era rivolta a lei in cerca di sostegno e asilo, ricevendo in cambio una amara ospitalità in castelli trasformati in carceri e la privazione della libertà (e infine della vita).
Sulla falsariga della tragedia di Schiller, Dacia Maraini immagina un incontro tra le due regine, mai avvenuto nella realtà, risolto in chiave onirica e quasi “affettuosa” con una riconciliazione (invece che con una crisi definitiva come nell’opera del drammaturgo tedesco): un sogno, probabilmente, quasi una parentesi beffarda prima dell’irrevocabile decisione che condurrà Maria sul patibolo.
La scrittrice e drammaturga lascia intuire, nelle esistenze parallele delle due discendenti di Enrico VII, il vincitore della “guerra delle due rose”, una profonda affinità pur nella diversità di temperamento: entrambe costrette a sostenere il peso della corona in una civiltà di rigorosa tradizione patriarcale, quindi a cercare il consenso dell’aristocrazia e del popolo, appoggiandosi spesso almeno apparentemente a una o più figure maschili e districandosi tra le opposte fazioni e le influenze delle potenze straniere e dello Stato Pontificio, le protagoniste sarebbero potute diventare amiche e “complici” se le circostanze non le avessero trasformate in avversarie.
Il destino ha scelto altrimenti: Maria Stuarda, incoronata regina di Scozia a soli nove mesi, vedova del re di Francia Francesco II, rientrata in patria si trova a fronteggiare una situazione di grave instabilità a causa dello scontro tra cattolici e protestanti e contemporaneamente rivendica il suo diritto alla successione sul trono inglese, dopo Elisabetta, salita al potere alla morte di Maria Tudor (Maria la Sanguinaria).
Il matrimonio con il cugino Enrico Stuart, Lord Darnley, da cui nasce Giacomo (futuro re di Scozia e d’Inghilterra), la prematura scomparsa del marito e lo strano “rapimento” da parte di Bothwell, che sarebbe diventato il suo terzo marito, lo scandalo e il sospetto, l’abdicazione, poi la prigionia, la fuga da Loch Leven e la sconfitta a Lanside inducono Maria Stuarda a cercare riparo in Inghilterra. Qui però la sua presenza rappresenta un pericolo per Elisabetta, la cui incoronazione non viene riconosciuta dai cattolici e di cui Maria è la più prossima erede al trono: la sovrana inglese tiene prigioniera la cugina e potenziale rivale per quasi vent’anni, mentre intorno alle due donne si tesse una fitta trama di intrighi che culmineranno con la condanna a morte dell’ex regina di Scozia e infine, paradossalmente ma non troppo, con l’ascesa al trono d’Inghilterra di suo figlio Giacomo.
“Maria Stuarda” racconta gli ultimi giorni della regina prigioniera, il suoi sogni e le sue speranze, ma anche l’amarezza e il disincanto, il rimpianto per la sua splendente giovinezza e il suo spirito infuocato e guerriero soffocati entro le mura, con la sola compagnia della nutrice, diventata il suo specchio e in qualche modo il suo conforto; e lo stesso rapporto – che rimanda agli ambigui legami de “Le Serve” di Jean Genet ma anche alle figure ancillari e alla presenza del coro nelle tragedie antiche – si replica tra Elisabetta e Nanny, in un perverso gioco di potere.
In questo gineceo, dove gli uomini – mariti e amanti, padri naturali e libertini come l’ingombrante Enrico VIII e giudici spirituali come il teologo calvinista John Knox, e così aristocratici, capitani di ventura, figli infidi – vengono spesso evocati a parole, non mancano spiragli su una possibile solidarietà al femminile, tra le due sovrane, come tra loro e le varie dame o compagne di sventura, ma infine a dettar legge è l’ambizione insieme con l’autorità, e come “noblesse oblige” si impara a fare di necessità virtù.
Dacia Maraini tratteggia magistralmente i caratteri delle due protagoniste, la fragilità e la forza di due figure in certo qual modo antitetiche, o meglio complementari, la cui sorte è strettamente e dolorosamente intrecciata, finché il duello a distanza tra due volontà altrettanto inflessibili e consce della propria maestà si chiude inesorabilmente, per un (in)consapevole inganno, che è insieme catarsi, sul confine tra la vita e la morte.
Quella sacralità del potere regale che sanciva l’inviolabilità della persona della sovrana, giudicabile soltanto da una corte di suoi pari, viene infranta e contraddetta da una sentenza capitale: il tempo della prigionia termina con un ultimo rito crudele, descritto con dovizia di macabri particolari dalla stessa nutrice che ha condiviso quei lunghi anni di reclusione, quell’alternarsi di stati d’animo, fino alla rassegnazione ma non alla sottomissione.
Nell’atto finale Maria Stuarda affronta la morte con altera dignità, da regina e lascia alla superstite Elisabetta l’angoscia e l’incertezza su una decisione irrevocabile: si scioglie il nodo invisibile tra i due destini, ma resta il mistero della figura di Maria, moderna eroina tragica, vittima di intrighi o complice se non artefice di un complotto per l’assassinio della sua rivale, ma comunque, in un’epoca di guerre dinastiche e conflitti religiosi, una donna di potere – come la cugina – al centro della storia.
Il percorso alla (ri)scoperta del teatro di Dacia Maraini in compagnia di Irene Palladini e Lea Karen Gramsdorff – iniziato giovedì 30 dicembre con la prima puntata, in cui fammenti del testo si alternano e intrecciano a commenti e riflessioni su contenuti e forme della rappresentazione, proseguirà con la terza puntata, registrata al Jazzino di Cagliari, prossimamente in streaming sul Canale YouTube del CeDAC Sardegna: “pillole” d’arte e cultura per affrontare con «la leggerezza della pensosità», come suggerisce Irene Palladini citando Italo Calvino, intriganti riletture di classici e testi contemporanei capaci di parlare al presente e raccontare le nuove sensibilità.
L’autrice
Dacia Maraini nasce a Fiesole (Firenze). La madre Topazia appartiene ad un’antica famiglia siciliana, gli Alliata di Salaparuta. Il padre, Fosco Maraini, per metà inglese e per metà fiorentino, è un grande etnologo ed è autore di numerosi libri sul Tibet e sull’Estremo Oriente.
La famiglia Maraini si trasferisce in Giappone nel ’38 poiché il padre porta avanti uno studio sugli Hainu, una popolazione in via di estinzione stanziata nell’Hokkaido. Nel ’43 il governo giapponese, in base al patto d’alleanza cha ha stipulato con Italia e Germania, chiede ai coniugi Maraini di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. Poiché i due rifiutano, vengono internati insieme alle tre figlie in un campo di concentramento a Tokyo. Lì patiscono due anni di estrema fame e vengono liberati, soltanto a guerra finita, dagli americani. Nella sua collezione di poesie Mangiami pure, del 1978, la scrittrice racconterà delle atroci privazioni e sofferenze di quegli anni.
Rientrati in Italia, i Maraini si trasferiscono in Sicilia, presso i nonni materni, nella villa Valguarnera di Bagheria, dove le bambine cominciano gli studi. Qualche anno dopo la famiglia si divide: il padre va ad abitare a Roma, lasciando a Palermo sua moglie e le tre figlie che frequentano le scuole in città. Per Dacia sono gli anni della prima formazione letteraria, ma soprattutto del sogno di una fuga che però arriva soltanto al compimento del diciottesimo compleanno, con la decisione di andare a vivere a Roma con il padre. Qui prosegue il liceo e per guadagnare si arrangia facendo l’archivista, la segretaria, la giornalista di fortuna. A ventuno anni fonda, assieme con altri giovani, la rivista letteraria Tempo di letteratura, e comincia a collaborare, con dei racconti, a riviste quali Paragone, Nuovi Argomenti, Il Mondo.
Nel 1962 pubblica il suo primo romanzo, La vacanza, cui seguono L’età del malessere (1963, ottiene il Premio Internazionale degli Editori “Formentor”) e A memoria (1967). Grazie all’interessamento di Nanni Balestrini, nel ’66 escono con il titolo Crudeltà all’aria aperta anche le sue poesie, che vengono recensite con molto favore da Guido Piovene. Intanto si sposa con Lucio Pozzi, pittore milanese da cui si divide dopo quattro anni di vita comune e un figlio perso poco prima di nascere.
In questi anni Dacia Maraini comincia a occuparsi anche di teatro. Fonda, assieme ad altri scrittori, il Teatro del Porcospino, in cui si rappresentano solo novità italiane, da Gadda a Parise, da Siciliano a Tornabuoni. Proprio in questo periodo incontra Alberto Moravia, che nel 1962 lascia per lei la moglie e scrittrice Elsa Morante: i due vivranno insieme a lungo, fino ai primi anni Ottanta.
Nel ’73 fonda assieme con Maria Clara Boggio, Rudith Bruck Risi, Saviana Scalfi, Maria Cristina Mascitelli, Annabella Cerliani, Anna Maria Leone e Giuliana Sacchetti il Teatro della Maddalena, gestito e diretto da donne. Lei stessa scrive molti testi teatrali, tra i quali Maria Stuarda, che ottiene un grande successo internazionale, Dialogo di una prostituta con un suo cliente, Stravaganza e altri. Dal 1967 ad oggi, Dacia Maraini ha scritto più di trenta opere teatrali, molte delle quali vengono ancora oggi rappresentate in Europa e in America.
Un altro romanzo viene pubblicato nel ’72, Memorie di una ladra cui è ispirato il film Teresa la ladra con Monica Vitti nel ruolo della protagonista. L’anno successivo esce Donna in guerra, poi tradotto, come quasi tutti i suoi libri, in molte lingue. Nell’80 è la volta di Storia di Piera, scritto in collaborazione con Piera degli Esposti: Marco Ferreri ne ricaverà un fortunato film con Isabelle Huppert, Hanna Schygulla e Marcello Mastroianni. Degli anni Ottanta sono i romanzi Il treno per Helsinki (1984), sulla nostalgica ricerca degli entusiasmi del passato, e Isolina (1985), la storia toccante di una ragazza a cavallo tra Otto e Novecento.
Nel ’90 esce La lunga vita di Marianna Ucrìa, che vince il Campiello e altri prestigiosi premi, e ottiene un enorme successo di critica e pubblico. L’anno successivo escono la raccolta di poesie Viaggiando con passo di volpe e il libro di teatro Veronica, meritrice e scrittora. Nel ’93 è la volta di Bagheria, un appassionante viaggio autobiografico nei luoghi d’infanzia, e Cercando Emma, che ripercorre la vicenda del romanzo Madame Bovary di Flaubert per capire il suo fascino e svelarne il mistero. Nel ’94 il romanzo Voci, vincitore di numerosi premi letterari, offre una nuova interpretazione sul tema della violenza sulle donne.
I grandi temi sociali, la vita delle donne, i problemi dell’infanzia sono ancora al centro delle sue opere successive: il breve saggio sulla modernità e sull’aborto Un clandestino a bordo (1996), il libro intervista E tu chi eri? (1998) e la raccolta di racconti sulla violenza sull’infanzia Buio (1999, vincitore del Premio Strega). Del 1997 è il romanzo Dolce per sé, in cui una donna matura e giramondo scrive ad una bambina per evocare i ricordi del suo amore per un giovane violinista, descrivere viaggi, concerti, aneddoti familiari. Se amando troppo (1998) raccoglie le poesie scritte tra 1966 e il 1998.
Tra il 2000 e il 2001 vengono pubblicati: Amata scrittura (in cui svela con passione e umiltà i segreti del mestiere di scrittore), Fare teatro 1966-2000 (che raccoglie quasi tutte le sue opere teatrali) e La nave per Kobe (in cui rievoca l’esperienza infantile della prigionia in Giappone). Nel 2003 escono invece Piera e gli assassini, il secondo libro scritto in collaborazione con Piera degli Esposti, e le favole de La pecora Dolly. La letteratura, la famiglia e il mistero del corpo sono i temi principali di Colomba (2004). Degli ultimi anni sono invece la raccolta di articoli I giorni di Antigone (2006) e il saggio Il gioco dell’universo (2007) di cui è coautrice insieme al padre. Dacia Maraini viaggia attraverso il mondo partecipando a conferenze e prime dei suoi spettacoli. Nel 2008 ha pubblicato il romanzo Il treno dell’ultima notte, nel 2009 la raccolta di racconti La ragazza di via Maqueda, nel 2010 La seduzione dell’altrove, nel 2011 La grande festa, nel 2012 L’amore rubato e nel 2013 Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza. Dopo La bambina e il sognatore (2015) e Tre donne. Una storia d’amore e disamore (2017), pubblica Corpo felice. Storia di donne, rivoluzioni e un figlio che se ne va (2018) e Trio. Storia di due amiche, un uomo e la peste di Messina (2020) e il saggio La scuola ci salverà (2021) che contiene i racconti L’esame, Berah di Kibawa e Il bambino vestito di scuro.
Lea Karen Gramsdorff
Di origini tedesche, Lea Karen Gramsdorff nasce nel 1974 Lecco, in Italia.
Nel 1996 si diploma come attrice presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e debutta sul grande schermo nel film “La Cena” di Ettore Scola.
Seguono molte esperienze televisive e cinematografiche a livello nazionale ed internazionale. Nel 2001 si trasferisce a Cagliari, dove al lavoro di attrice affianca quello di pedagoga teatrale e regista.
Sempre a Cagliari inizia la sua carriera di artista visiva. In duo con l’artista Simone Dulcis (Duo Dulcis/Gramsdorff) realizza progetti installativi site specific.
Irene Palladini
Irene Palladini (Modena, 1974) è dal 2018 Ricercatore TDa di Letteratura italiana contemporanea, afferisce al Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali e al Corso di laurea in Lingue e Culture per la mediazione linguistica dell’Università degli Studi di Cagliari. Ha pubblicato il saggio Draghi, grifoni e altri animali fantastici in Gli animali della letteratura italiana (Carocci 2009) e Latte in Banchetti letterari (Carocci 2011). Ha scritto Il marchio della bestia e altri saggi e La persistenza della voce (Edicampus 2012), Occhi di incantamondo. Un ritratto critico e tredici dialoghi su Sergio Atzeni (Franco Angeli 2015), Nel profondo del paesaggio. Percorsi nella narrativa emiliana contemporanea (Franco Angeli 2018), Come il musco alla pietra. Paesaggi nella narrativa contemporanea di Sardegna (Franco Angeli 2021).