Ieri sera a Cagliari nella Sala Search è stato presentato il libro “Sull’orlo del pregiudizio. Razzismo e islamofobia in una prospettiva antropologica”, scritto dall’antropologo Francesco Bachis.
La presentazione è stata coordinata dall’antropologo Felice Tiragallo e dopo un saluto a Francesco Atzeni, Direttore del Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio, hanno preso parte al dibattito l’antropologa Gabriella Da Re, le storiche Valeria Deplano ed Eva Garau dell’Università di Cagliari e Massimo Aresu, storico dell’Università di Leeds.
Il libro prende in esame fatti storici accaduti nel corso degli ultimi venti/trent’anni per dipanare poi un discorso che si riallaccia sostanzialmente al linguaggio adoperato e alcune volte manipolato dalla politica e dai mass media.
Il 9 febbraio 1991 cadde il regime comunista dell’Albania e nel giro di pochi mesi le persone decisero di trasferirsi in Italia per cercare un lavoro. Circa un mese dopo, il 7 marzo, arrivarono a Brindisi 27000 persone. Fu il primo caso di “arrivo di massa” in Italia. Il libro pone l’attenzione su come quest’arrivo di massa (e anche altri, sino a quelli più recenti) fu gestito da una certa politica e da alcuni mass media. Ci fu per esempio un partito (nel libro si cita la Lega Nord) che con il termine “clandestino” mise le basi per i propri comizi elettorali, partito che ad oggi risulta essere il più longevo rispetto ad altri.
Anche alcuni mass media, nello specifico si è parlato del giornale quotidiano La Repubblica, non rimasero immuni dal fenomeno linguistico discriminatorio e sebbene avessero cura di trattare l’argomento, sono incappati spesso in gaffe lessicali di dubbia correttezza etica e morale.
Un percorso d’analisi che richiama alla mente un altro lavoro saggistico, uscito nel 2010, in cui Gianrico Carofiglio con il suo “La manomissione delle parole” vuole restituire dignità e valore a cinque parole abusate in politica, violentate da un significato attribuito a seconda dei propri interessi. Due libri e due percorsi nettamente differenti, ma simili nei propositi: restituire dignità a certe parole, evitarne altre che possano avere connotazioni spregevoli e razziste e imparare a scegliere meglio quali usare. Ricollegandoci alla presentazione di ieri, è sottinteso il lavoro subdolo che certi mass media abbiano messo in atto nel descrivere alcuni fatti e notizie usando determinati termini anziché altri, attraverso l’influenza e l’autorità in loro potere, per manipolare le idee dei lettori.
Se negli anni ’90 vi era una discriminazione generica contro le persone che cercavano un futuro migliore altrove, in tempi recenti si può parlare di discriminazione religiosa per le nuove migrazioni. Sotto accusa è anche l’ormai usuale espressione “a casa loro” contrapposta a “a casa nostra”, due frasi recenti, nate e alimentate da una certa politica, che si sentono quotidianamente con accezioni negative e che, per citare il libro stesso, ci portano a ridosso del precipizio del razzismo.
Se da un lato politica e mass media hanno influito nell’imporre un certo lessico e una certa forma di pensiero, dall’altro non si può non parlare delle persone che seguono questi dettami ideologici. Sono le stesse persone che sotto ad una notizia, nell’era dei social network, lasciano commenti privi di sensibilità umana, affidando alle parole sbagliate concetti beceri e imbarazzanti. Le stesse persone che poi il giornalista Enrico Mentana ha definito “webeti”, neologismo (che neologismo non è) usato nel 2016 per stroncare una conversazione a sfondo razzista che stava prendendo piede nella sua pagina di Facebook.
Come ha detto un ospite: “la cultura non è un blocco monolitico” e va costantemente aggiornata, stando al passo con i tempi e avendo una forma mentis elastica, in grado di accogliere le novità culturali e sociali interpretandole come fonti di stimoli e di ricchezze personali.
Il libro è stato presentato al Salone del Libro di Torino, a Parma e a Sassari.
È un lavoro di ricerca tosto e lungo quello dell’antropologo Bachis, non nuovo all’argomento, che ha il compito di fornire, partendo da fatti storici più o meno recenti, spunti di riflessione preziosi in tempi in cui la comunicazione svolge un ruolo primario, a volte ingombrante e spesso scomodo, quando male utilizzata.
Alessandra Liscia